Menti che si svelano

"Menti che si svelano: Caratteristiche e funzioni della self-disclosure dell’analista" di Giuseppe Craparo, edito da Franco Angeli, è un libro diviso in due parti.
Nella prima l’autore da spazio ad una rassegna approfondita sulla relazione analitica, sulla funzione della comunicazione intersoggettiva (cooperativa, inconscia, intercorporea), sui limiti e sulle risorse del lavoro emotivo del clinico che si coinvolge nella relazione.
La seconda parte ha come oggetto il concetto di self-disclosure, che Craparo traduce come autosvelamento dell’analista.
A differenza della self-revelation con cui si intende “la rivelazione involontaria e inconscia” (p.94) di aspetti di sé da parte dell’analista e che pertiene al manifestarsi di un fenomeno e al rivelare implicitamente (es. vestiario, arredamento dello studio ecc.), l’autore ritiene che nella disclosure lo svelamento è costitutivo dell’ “atto di comunicare intenzionalmente qualcosa di celato” (p. 92).
Pertanto, con il termine self-disclosure intende “lo svelamento deliberato e cosciente da parte dell’analista di aspetti di sé” (p. 94), (es. emozioni, immagini, pensieri) cioè osservazioni che possono riguardare il “qui ed ora” della seduta o più genericamente qualcosa che pertiene alla relazione tra l’analista e il paziente.
Poiché lo svelamento riguarda elementi che provengono dalla soggettività dell’analista, un interrogativo importante che deve porsi riguarda le sue motivazioni e il processo psichico che lo spinge a disvelarsi, alla luce della peculiare relazione tra analista e paziente.
Craparo parte quindi dal concetto di asimmetria e mutualità nella relazione analitica, che porta alla creazione di un “noi simbolico”, un “terzo analitico intersoggettivo” che da senso alla “Noità”.
L’autore enuncia alla base della relazione analitica i concetti di “spaziatura”, “separatezza” e “collusione”, quest’ultima descritta come un gioco di autoinganno reciproco, che sarà compito dell’analista svelare affiché ci sia un’evoluzione mentale e affettiva del paziente, ma che durante il percorso fornisce un contatto giocoso tra le menti.
Da qui il riferimento al titolo, “Menti che si svelano”, in cui Craparo formula la definizione di self-disclosure come un’esperienza di natura relazionale, intersoggettiva, autentica, affettiva e consapevole per mezzo di un buon uso della funzione analitica dell’analista, ossia ciò che permette al paziente di poter fare esperienza del proprio modo emotivo e affettivo di processare, conoscere e apprendere su di sé e in relazione con l’analista.
La funzione analitica comprende per l’autore un atteggiamento di mentalizzazione degli stati emotivi proprie e altrui e la rêverie dell’analista, ossia una ricettività intuitivo emotiva che dà accesso ad un linguaggio emotivo e pre-rappresentazionale, che coinvolge la comunicazione profonda e potenzialmente trasformativa all’interno del campo analitico.
In questi termini il “diventare sé stesso del paziente” passa dall’incontro reciproco ma asimmetrico in cui nella soggettività dell’analista è attivo un atteggiamento di svelamento che include uno scambio comunicativo di natura affettiva, autentica ma responsiva e consapevole del potenziale effetto sul paziente.
La disamina dell’autore prosegue con i diversi tipi di self-disclosure (relativa al controtransfert, all’enactment, ai vissuti emotivi reali e alle informazioni personali del clinico) delineandone il buon uso in termini di finalità terapeutiche.
Vengono illustrati esempi clinici in base al tipo di sofferenza mentale esperita dal paziente e in base al momento specifico del processo di cura (promuovere il processo analitico, favorire un sentimento di sicurezza, favorire lo sviluppo e l’analisi del transfert del paziente, sbloccare una situazione di stallo dell’analisi, rafforzare o riparare rotture dell’alleanza terapeutica).
Ovviamente, il “buon uso” dell’autosvelamento non può essere esente da un certo grado di incertezza e fallibilità poiché non è dato sapere preventivamente in che modo verrà compreso dal paziente e quale sarà l’effetto sulla relazione clinica, la cui efficacia è valutabile solo in aprés-coup.
In conclusione, affinché con la psicoanalisi si persegua l’obiettivo di “riprendere un cammino interrotto”, il fenomeno della self-disclosure, può essere definito come un “atteggiamento” clinico che può essere parte del processo analitico proprio per il suo “potenziale di agire come agente di cambiamento e di trasformazione, se permette di arricchire la comunicazione del paziente”.
Pertanto, conoscere e approfondire il concetto di self-disclosure per poterne farne un buon utilizzo, permetterebbe un’estensione del metodo e un’integrazione di modelli analitici, promuovendo la cura nel setting clinico, in cui la partecipazione e l’interscambio aiutano la costruzione di rappresentazioni di sé come “agenti creativi e come persone che meritano amore”.

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